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domenica 20 ottobre 2013

Mare al mattino. Margareth Mazzantini



Eccoci di nuovo qua , a distanza di quasi due settimane, a riscrivere un post.
Finalmente, lavorando meno, ho tempo di dedicarmi di più alla lettura e alla scrittura di recensioni.
Cogliendo i suggerimenti dati da voi (ci temgo che voi possiate leggere e darmi suggerimeneti, sul serio!) , io cercherò di dare il mio massimo e esporvi i pro ed i contro delle mie letture, tentando di rimanere fedele al mio stile e alle  mie tradizioni.

In questo periodo, io sono riuscita a terminare questo profondo e struggente libro di Margareth Mazzantini, l'autrice del  famosissimo Non ti Muovere( curiosità: il marito Sergio Castellitto ha dato vita ad una delle più fedeli trasposizioni cinematografica del libro e forse uno dei più bei film italiani degli ultimi anni ) e di altri libri come Venuto al mondo, di cui sono venuta in mio possesso e leggerò, recendendolo qui ovviamente.

Il libro tratta di un tema molto spinoso, un argomento che riguarda il "sociale"; siccome in quest'ultimo periodo si è sentito l'eco mediatico della tragedia a Lampedusa, dove più persone hanno tragicamente perso la vita per annegamento, volevo cercare di creare una sorta di collegamento.
Il romanzo tratta la storia di due famiglie, di due madri e due figli, apparentemente diversi ma parallelamente simili.

Jamila e Farid hanno abbandonato la loro casa nel deserto, a causa di una ribellione sfociata in una cruenta guerra, sperando di trovare un mondo migliore in Italia, mentre Angelina e  Vito, di origini libiche, erano stati estraniati e costretti a lasciare le loro case da Gheddafi e indotti a espatriare in Italia.
Da una parte la speranza dell'arrivo e dall'altra la speranza del ritorno.
Due mamme che si ritrovano a guardare il mare, con sentimenti diversi, ma allo stesso tempo uguali, diciamo, complementari.

In questo libro si trovano tanti sentimenti: quelli di chi abbandona la propria casa per necessità, ma col grande rimpianto e la speranza allo stesso tempo, un po' le sensazioni che provano tutti i profughi che sono stati depredati di tutti i loro averi, perfino della propria storia.
Qui si ritrova la grande sensibilità della Mazzantini ed anche una lieve nota "sociale", quasi una sorta di campagna di sensibilizzazione, per far capire cosa prova chi è stato costretto ad abbandonare tutto con una grande dose di coraggio.

Purtroppo una delle due storie non finirà bene, ma farà nascere negli altri personaggi rimanenti un sentimento di rivalsa, di riscoperta delle origini e del lottare per esse.
La Mazzantini in questo libro usa uno stile crudo, tagliente come un pezzo di vetro, molto simile a quello di "Non ti muovere", impreziosito da una ricchezza di linguaggio, fluida e scorrevole, un libro che è calibrato in tutte le sue parti, in cui flash back di presente, passato e futuro, raccontano una storia talmente realistica, da parere sul serio un racconto di qualche sopravvissuto.
E il mare qua ha un significato talmente profondo, viscerato, non è solo un muto spettatore delle vicende, ma è anche un muto protagonista che a seconda delle storie prende un diverso significato.
Non a caso mare è perfino protagonista del titolo.
Consiglio vivamente la lettura di questo libro, di breve durata(120 pagine) ma profondamente intenso.
Sicuramente una lettura diversa dal solito, un racconto che fa riflettere oltre che far provare una fitta al cuore.
 
 

Voto: 9
 
 



 

 

lunedì 7 ottobre 2013

Mauro Gaggero - Quasi a casa


Eccomi qua, dopo circa un anno e mezzo dove sono successe praticamente mille cose  e finalmente riavendo il tempo e forse di nuovo quella sinergia fra mente e  cuore che mi facevano venire voglia di dedicarmi alle arti con tutta me stessa, posso dire  di essere ritornata qui.

Tra l'altro come già annunciato l'anno scorso, proverò di nuovo anche a realizzare delle "videorecensioni", però vi faccio una richiesta a titolo personale: per favore, datemi consigli per migliorare e cercare di rendere migliore il mio lavoro e di crescere insieme a voi. Ci tengo davvero in modo speciale.

 Adesso data questa mia piccola premessa inizierò a recensire questo libro che sarà una delle prime a inaugurare una stagione -spero- di recensioni.

Questo libro mi era stato regalato da un mio zio, e dopo mesi di lettura intermittente, lo stavo leggendo a rilento.

Finalmente, qualche giorno fa l'ho terminato, non avendo più impegni lavorativi eccessivamente stancanti e devo dire che questo libro è abbastanza particolare e contrastato sia nei temi che nella struttura sintattica.

Il libro tratta la storia di due persone vicine all'eta anziana, completamente diversa di carattere, Cesco e Marco. Il primo malinconico, di poche parole, dall'intelligenza vispa e un vita fatta di dolore, rinunce e delusioni, il secondo con un passato anonimo, un temperamento entusiasta, trascinante e pieno di voglia di riscatto.

Due individui talmente differenti ma allo stesso tempo legate dal filo di una profonda amicizia al limite del fraterno.

Queste due persone faranno un viaggio per i locali d' Italia, cantando una bellissima e sottovalutata canzone dei Rolling Stones, un'iniziativa presa da Marco per aiutare Cesco a comprare una casa e anche per riaccendere in lui un rinnovato spirito di vita, dopo la disintossicazione dal tunnel dell'alcolismo.

Il viaggio prende la forma di una seconda giovinezza, un'occasione per vivere esperienze che i due prima non si erano permessi di concedersi, per riprendere da zero un amicizia lunga anni ed è anche una sorta di riscatto dalla vita e dalle frustrazioni che da essa ne conseguono.

Dopo questo piccolo inciso, devo dire che la storia è molto delicata anche perchè tratta i temi dell'alcolismo, del suicidio, della difficoltà di vivere dopo tanti sacrifici, ed il rimpianto e in contrapposizione racconta della rivincita, della voglia di ricominciare, e della gioventù che a volte non è necessariamente sinonimo di età giovane.

La pecca di questo libro però è il fatto che in alcuni punti sia eccessivamente lento e prolisso mentre in altri fin troppo veloce, sembra quasi che si saltino dei pezzi importanti.
Ad esempio si dedica più della metà del libro alla preparazione di Marco e Cesco al progetto, mentre si parla meno di cinquanta pagine del loro viaggio effetivo, che dovrebbe rappresentare il fulcro di tutto.

Secondo me l'autore doveva valorizzare alcuni punti piuttosto che a dedicarsi alla descrizione prolissa di alcuni fatti e personaggi che poi alla fine risultano marginali.

Fosse stato realizzato in modo più omogeneo,meno discontinuo, sarebbe stato un piccolo capolavoro
e forse, un'emblema del riscatto a suon di musica e gorgheggi.
Un vero peccato.

Voto: 7




 
 
 
 



venerdì 13 aprile 2012

Doppio regalo di Primavera 3096 Giorni/La sposa inglese









Carissimi, vi chiedo profondamente scusa se ho aggiornato abbastanza tardi questa volta, ma una catena di eventi ha preso il sopravvento rispetto ai normali aggiornamenti sul blog:  i soliti esami da preparare,  in un leggero ritardo rispetto alla tabella di marcia(lo ammetto senza problemi),  e varie feste di compleanno. Vari impegni scolastici e diciamo in modo scherzoso"mondani", hanno fatto passare in secondo piano il blog.
Siccome finalmente ho un minimo momento di respiro da tutta questa bolgia,  ne approfitto per recensire i penultimi due libri che ho letto.
Il motivo reale è anche un altro: vorrei fare una doppia recensione per farmi perdonare la lunga assenza, e siccome ho finito da poche ore "Il linguaggio segreto dei fiori" di Vanessa Diffenbaugh, di cui  senz 'altro merita la più lunga e articolata recensione, colgo l'occasione per recensire questi due libri, in modo articolato sì, ma non come il gioiellino della Diffenbaugh.
In poche parole vorrei offrirvi un "antipasto" prima della portata principale, di certo sostanziosa e speciale.




Natasha Kampush: 3096 Giorni.


"Ora mi sento abbastanza forte per raccontare tutta la storia del mio sequestro."




                                                                Autore: Natasha Kampush
                                                               Genere:Documentario autobiografico
                                                               Titolo: 3096 giorni
                                                               Editore: Bompiani
                                                               Pagine:308 Anno:2010
                                                            




Di solito io faccio una piccola premessa e come sempre, non mi smentisco mai.
Questo libro mi fu imprestato dalla mia coinquilina/compagna di sventure/fornitrice di droga letteraria.
All'inizio quando me lo prestò, storsi un pochino il naso perché pensai che fosse una delle solite trovate pubblicitarie per sfruttare l'ennesimo evento mediatico disastroso: purtroppo queste cose orrende attraggono il pubblico peggio che gli avvoltoi.
Tra l'altro di recente si dice che vi siano controversie nella versione detta dalla Kampush: indagini e robe varie cercano di smontare questa versione, che a detta di alcuni è solo quella "ufficiale".


Realtà nascoste o sfruttamento  mediatico dell'onda per poter ancora sollevare polveroni su una vicenda tragica, trascurerò questo lato per raccontare innanzitutto la disgrazia umana di una persona che ha visto per un pezzo importante della sua esistenza ( l'infanzia e poi dopo l'adolescenza, in cui di solito si passa i migliori anni della vita), solo l'orrore e il buio.
Natasha Kampush è stata rapita nel 1998  e  si è auto-liberata nel 2006. Ha vissuto otto dei suoi anni più preziosi ad essere maltrattata fisicamente e psicologicamente, denutrita e  usata come serva nei piani oscuri di una persona con chiare turbe psichiche nascoste in un manto di ordinarietà, fin troppo linda per essere reale (infatti  Wolfgang Priklopil, il suo carceriere, era un ingegnere della Siemens, con un' ordinaria vita casa e lavoro. Insomma, il classico insospettabile).


Lei era una bambina con un passato difficile, la quale meritava di meglio che un'isolamento forzato, ma allo stesso tempo, con una forza sconosciuta perfino a se stessa, non si è fatta  piegare da tutta quell'onda di violenza e morbosità.


Nonostante il male che le ha fatto, ha trovato perfino la forza di perdonare il carceriere e di trovare delle motivazioni per i suoi gesti a dir poco crudeli.
Molti telegiornali hanno condannato questo suo atteggiamento incriminandolo come "Sindrome di Stoccolma" :secondo me è la prova definitiva della sua forza di carattere e serenità interiore, che ha fatto si di non piegarsi mai.
La televisione e i media sono facili a condannare chi non si comporta secondo un copione scritto, in cui il bene è bianco e il male è nero, senza provare il minimo sforzo a comprendere veramente chi ha passato cose così tremende.


Alla fine non mi sento nemmeno di giudicarla una vittima, perché personalmente, non so se avrei trovato tutto il coraggio a cui ha attinto lei in piene mani.
Io non mi inoltro in altri dettagli perché è una mia tradizione, ma in questo caso, in effetti,   sono troppo cruenti per essere descritti in un blog. 
Io stessa  non voglio trattare con troppa leggerezza l'argomento, il quale per il rispetto di Natasha e di altre vittime di casi analoghi, meriterebbe la giusta delicatezza e empatia.


Il libro, siccome  non è di fantasia, non permette  di giudicare il testo e lo stile, come accadrebbe in un romanzo di pura narrativa. So solo che è scritto con uno stile crudo, scorrevole, con una nota di comprensione e speranza, che rendono questa testimonianza così sentita e forte.


Io credo che le vittime di questi crimini non vadano compatite perché i media ci hanno convinto che compatendo si dia un aiuto concreto.
Non c'è nulla di più distorto e sbagliato: vanno ASCOLTATE e non giudicate.etichettando il loro comportamento , vanno comprese non tanto per dare un numero di ascolti in più in uno spettacolino osceno come la tv di questi ultimi tempi, ma per fornire un concreto aiuto e un' accorata compagnia a chi la solitudine ha piegato la loro vita.


Voto: 9






Lynsay Sands: La sposa inglese


                                                                 
                                                               Autore: Lyndsay Sands
                                                               Genere:Romanzo sentimentale e storico
                                                               Titolo: La sposa Inglese
                                                               Editore: Harlequin Edizioni Storiche
                                                               Pagine:300 circa Anno:2009


Ed eccoci di nuovo qui, dopo un'oretta di puro ozio su Facebook, per riposare i neuroni e per riordinare le idee e cucinare una parvenza di pranzo.
Anche questo libro mi è stato imprestato sempre dalla mia  spacciatrice di droga libraria di fiducia.
Questo libro fa parte della collezione Harmony Storica, ma nonostante qualcuno di voi inizierà a storcere il naso e ad alzare le spalle, è urgente dirvi che la qualità del romanzo in questione è di gran ben lunga superiore alle solite pubblicazioni Harlequin.

Per alcuni la collezione Harmony è sinonimo di stereotipo e dozzinalità, perché in effetti alcune collane hanno la stessa caratteristica di avere le trame completamente uguali e di trascurare la  cura per gli intrecci.  Spezzando una lancia a favore di queste collane, vi è  anche da dire che per il rapporto qualità prezzo è anche giusto aspettarsi un prodotto meno definito, rispetto un libro che magari costa il doppio, con un formato e una copertina più curati e  una trama più articolata.

Devo dire che ora, non so se è la collana Storica ad essere più curata (in effetti, il prezzo  di questa collana  è un  più alto rispetto alle altre) oppure è l'autrice ad essere particolarmente brava( Lindsay Sands è molto nota anche per aver scritto romanzi al di fuori della collana Harlequin), fatto sta che "La sposa inglese" è un libro sorprendentemente vario e sostanzioso: insomma una vera sorpresa nel senso positivo.

La storia narra le vicende   di Kyla, una giovane nobile inglese, la quale è stata data in sposa ad un  crudele  conte scozzese, conosciuto come MacGregor, dalla moglie del fratello di lei, la quale vuole sbarazzarsene per prendere tutta l'eredità.

Mentre è in viaggio insieme alla sua vecchia nutrice,  il suo carro viene assaltato da un bellissimo e alquanto misterioso personaggio, che si rivelerà un accanito rivale di MacGregor, per via di un passato di faide reciproche.

MacDonald(l'uomo misterioso) decide di sposare Kyla, apparentemente per fare un torto a MacGregor,ma in realtà egli si  innamora  perdutamente fin dal primo momento di Kyla e quando ella dirà di essere pazza per evitare il matrimonio, accadranno mille eventi avventurosi  che porteranno ella a capire che prova la stessa identica cosa per lui.

Mi fermo qui per non dire altro, però la cosa che mi ha colpito molto è la fedeltà alta ai scenari ed alle situazioni ambientate nel Medioevo inglese: si vede molto il lavoro di documentazione fatto dall'autrice.
Un'altra perla è la caratterizzazione a tuttotondo dei personaggi: non vi è mai un tratto né completamente negativo, né mai completamente positivo, nemmeno nella protagonista principale.
Ed è questa adorabile miscela di difetti e di pregi che rende i protagonisti adorabili e degni di seguire pagina dopo pagina le loro avventure, fino a finire il libro tutto d'un fiato.

Vi è azione e avventura, è tutto calibrato in modo da risultare piacevole e completo. L'avventura si mescola all'amore in modo uniforme, come una zuppa in cui tutti gli ingredienti sono miscelati nel modo giusto,donando un gusto indimenticabile. 
Non è il solito romanzetto, è qualcosa di molto, molto di più.



Voto: 9/10





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sabato 17 marzo 2012

Robin Norwood.Donne che amano troppo

"Quasi tutte abbiamo amato troppo almeno una volta e per molte di noi questo è stato un tema ricorrente di tutta la vita. "

(Robin Norwood. Donne che amano troppo.)





Autore: Robin Norwood
Titolo originale: Women Who Love Too Much
Anno:1985
Genere: Manuale di auto-aiuto, psicologia
Pagine: 272
Editore:Feltrinelli, ristampa 2001





Carissimi, sono ritornata in versione lampo rispetto alle altre volte.
Sarà che a me la primavera ispira una grande voglia di fare
 (contrariamente a quel che si dice in giro),ma ho avuto la netta sensazione che la leggera canicola primaverile di questi giorni,
respirando ultimamente mi stia risvegliando, come se io fossi  un grosso bocciolo che appena la brezza delle
 belle giornate abbia risvegliato in sè la voglia di fare.
E il bello è che non lo so nemmeno io il motivo di questo risveglio della mia ispirazione:
 le volte scorse se vi ricordate, dicevo che a momenti si sarebbe risvegliata,ma senza avvertirmi, questa gran voglia di fare mi ha travolto come un fiume in piena.
In quest'ultimo periodo sto andando ad un ritmo non molto leggero
 in fatto di studio e di preparazione degli ultimi sei esami, che forse, si spera, mi porteranno alla tanta agognata laurea.
Una conseguenza di questo risveglio primaverile è stata la lettura tutto d'un fiato di questo libro, la primavera mi ha fatto un'effetto decisamente più sentito di una Red Bull bevuta tutta d'un fiato.
A parte queste mie considerazioni abbastanza scherzose,(il mio umore, a dispetto della fantomatica
 "depressione primaverile" è diventato più brillante e reattivo.sia per le passeggiate in una spelendida Cuneo fiorita, che per soddisfazioni scolastiche)
 il libro che ho letto è stato  divorato con una velocità abbastanza soprendente perfino per me stessa.
Siccome sempre per via del mio desiderio di variare un po' dal genere narrativo e per l'interesse per il mondo femminile, di cui anche se non sembrerebbe, appartengo, le ultime due  mie  letturew si sono incentrate molto sulla psicologia e sul mondo a volte complicato e contorto di noi donne.
Non voglio farmi del male e non sono nemmeno masochista, sia chiaro, però credo che
 a volte leggere questo tipo di libri sia anche un bel modo per trovare delle risposte a noi stesse e a degli interrogativi che ognuna di noi, volontariamente o no si pone.

Questo libro come il precedente, è stato scelto nel mio famoso e amato mercatino dell'usato, dove oramai, sapete bene, io mi rifornisco.
Il testo è stato scritto da Robin Norwood, nota  in America come psicoterapeuta e psicologa,che ovviamente da noi non è minimamente conosciuta.
Si occupa delle relazioni complicate fra uomo e donna,ma non dal punto di vista di relazione sbagliata fra due persone,ma fra noi stesse, che a volte cerchiamo persone sbagliate per non soffrire.
Questo è stato il punto rivoluzionario di una psichiatra che ha dato delle nuove linee guida,
 in un'America che ancora non riusciva a capacitarsi di donne la cui personalità fosse staccata dal quella del marito o partner.

E qui ora,cercherò di trattare l’argomento del libro in modo più delicato possibile, siccome per quanto io possa aver sofferto per altre cose, non ho mai passato certi avvenimenti descritti nel libro,onde evitare di offendere o danneggiare nessuno con questo argomento.

Nel libro vengono trattate delle storie di donne che intraprendono relazioni, sbagliate o addirittura nocive in cui il punto comune è un'infanzia tormentata e difficile.
Per la Noorwood, questa attitudine viene da lei considerata come una malattia, come la conseguenza di una depressione o di traumi di un passato non ancora superato, non affrontati e non curati adeguatamente.
Infatti questa "malattia" viene chiamata "la malattia delle donne che amano troppo".

La Noorwood in modo assolutamente competente,senza scadere nel tono saccente o eccessivamente medico,racconta tutti i casi di donne,capitatele negli ultimi anni e analizza ognuno di essi, in modo molto semplice e con un registro non medico e gergale.
Questa scelta è stata fatta per poter riuscire a interagire con un numero più alto possibile di donne, di estrazione sociale  ed età differenti.

Il libro è suddiviso in alcuni casi e alcune situazioni, di donne provenienti da famiglie difficili e delle loro conseguenti relazioni sbagliate. La cosa che colpisce dopo una lettura attenta di questi casi è il fatto che per quanto possano essere differenti i loro modi di affrontare le loro storie(chiusura eccessiva oppure apertura eccessiva)  e il loro background famigliare, le storie finiscono per assomigliarsi tutte.
Il comune denominatore di queste storie è che alcune donne tendono a scegliere uomini che non le amano,cercando di cambiarli e proteggendoli   anche quando  questi non meriterebbero, perché non si amano abbastanza loro stesse.
Robin Noorwood


La cosa che mi ha colpito di più è che nonostante certi meccanismi funzionino con questo tipo di donne, con determinati requisiti, anche le donne “che non amano troppo” possono riconoscersi in certi meccanismi mentali e in certi gineprai che generano paranoie e ansie.
Perfino io stessa ,benché ho una relazione che mi soddisfa a pieno e il modo per realizzare le mie aspirazioni,ho riconosciuto alcune paure e alcune credenze che ho e questo mi ha aiutato a riconoscerle.
E questo è l’intento dell’autrice, cercare non solo di aiutare delle donne in difficoltà,con relazioni difficili e dolorose, ma anche di migliorare la vita delle donne più soddisfatte,perché lei stessa dice” che non ci sono donne mai del tutto soddisfatte,l’amore per noi stesse non è mai troppo poco o troppo, è una cosasi coltiva con il tempo”

L’ultima parte del libro parla dei modi per uscire fuori da queste storie e specialmente per imparare ad amare meglio noi stesse. Descrive i meccanismi che si formano nella testa delle donne e come provare a placarli,in modo da imparare ad amarsi prima di tutto noi stesse.
Da suggerimenti validi, e per nulla semplicistici, come capita a volte in libri di questo genere, anzi cerca di partire dall’inizio e di dare delle linee guida base per poter poi cercare di comprendere e  dare la possibilità a queste donne iniziare il processo di guarigione da certi tipi di relazioni difficili.

In pratica questo libro è ottimo per le donne che hanno relazioni complicate,ma anche per quelle che vogliono cercare di ottenere qualcosa di più e continuare ad amarsi,ogni giorno.

Un manuale che può fornire delle sorprendenti risposte alla vita e al modo di reagire che ognuna di noi ha nel quotidiano. Per certi versi l’ho trovato illuminante.

Voto: 9






domenica 4 marzo 2012

Naomi Wolf, Il mito della bellezza.

“Perché l’ordine sociale sente il bisogno di difendersi eludendo la realtà delle donne vere, dei loro visi, delle loro voci, dei loro corpi, e riducendo il loro significato a delle immagini “belle”, codificate e riprodotte all’infinito?
Anche se le ansie personali inconsce possono essere una forza possente nella creazione di una menzogna vitale, in pratica questa viene garantita dalle necessità economiche.
Un’economia che dipende dalla schiavitù ha bisogno di promuovere immagini di schiavi che la giustifichino.”






(Naomi Wolf, Il mito della bellezza.)


Autore: Naomi Wolf.
Titolo originale: The Beaty Mith. Anno: 1991
Genere: Saggio.
Edito da: Milano, Mondadori.








Salve carissimi,come state?


 In questa giornata pseudo primaverile, ho deciso di scrivere la recensione del libro che ho finito pochi giorni fa.
Amo leggere come oramai avete ampiamente appurato, purtroppo l'università e  altri impegni correlati (esami imminenti, tremila lavori di grafica da portare all'esame) hanno limitato un po' il  mio tempo a disposizione.
 Per questa ragione appena ho un momento leggermente libero da pensieri/preoccupazioni/paranoie di non passare gli esami, cerco di leggere o scrivere, perchè altrimenti la mia povera testa diventa talmente gonfia, che potrebbe competere tranquillamente con una mongolfiera.


Tra l'altro le giornate iniziano ad essere leggermente più lunghe, calde e soleggiate e per quanto mi riguarda, ora come ora, mi fa piacere anche trovare il tempo per uscire, camminare un po' nel verde del  parco vicino a casa mia e godermi un po' di queste bellissime giornate che preludono la primavera.


In sostanza, chiedo scusa se avete notato un po' di rallentamento nella pubblicazione dei post del blog, e quindi cercherò di rimediare.


Un altro motivo che può aver influito sui  miei tempi biblici di pubblicazione, è sicuramente dovuto al fatto che il genere del libro è completamente diverso da tutti quelli ho letto fino ad ora.
Siccome la mia ignoranza  e scarsa cultura riguardo alla lettura saggistica era alquanto conclamata, ho deciso di provare a discostarmi dalla mia solita narrativa e affini  per addentrarmi in questa tipologia di lettura, per me semi-sconosciuta. 
Credo che  la lettura abbia lo scopo dell'intrattenimento ovviamente, ma anche quello di  apprendimento.  Non a caso la lettura  viene definita "cibo per l'anima e la mente", in una splendida campagna pubblicitaria di tempi recenti.
Quindi  volevo provare a "nutrire" un po' le mie  approssimative conoscenze.


Questo libro è stato notato durante una mia incursione in un mercatino dell'usato, fattomi scoprire recentemente dalla mia dolce metà.
Vuoi la copertina attraente, vuoi la descrizione accattivante, ho deciso all'istante di aggiudicarmelo.


Il trattato  descrive un'argomentazione controcorrente e allo stesso tempo anticipa un tema molto discusso ai nostri tempi: viene analizzato il ruolo della bellezza femminile rapportata in tutti i campi: il lavoro, il sesso, la dieta, la violenza e la cultura.
Il tema principale del libro è il cercare di sfatare i miti recenti sbandierati dalla pubblicità  rispetto alla realtà dei fatti, di quanto vengono distorte le immagini della donna.
Nel capitolo del lavoro viene spiegato che molte donne in America vengono licenziate perchè non sono appariscenti fisicamente, anche in campi in cui la bellezza non centra assolutamente nulla.
Nel capitolo della cultura, breve ma forse centrale per capire il discorso della Wolf, viene spiegata  la storia del femminismo e una teoria interessante, ovvero l'argomentazione  in cui la cultura odierna  ha cercato di prendere di mira le donne perchè esse potevano, per la naturale arguzia,  essere migliori in molti campi, rispetto agli uomini.
Di conseguenza dopo le Ondate Femministe fra le donne si crede di aver ottenuto certe parità che in realtà sarebbero fasulle.
Nei capitolo del sesso viene affrontato e sfatato il mito in cui una donna deve ricorerre a certi comportamenti, a certe pose,e  espedienti di bellezza fisica per apparire sessualmente attraente, aspetti assolutamente irreali,nella vita reale, fuori dalle copertine e dai media.
Nei capitoli della violenza e della fame viene spiegato il motivo sociale di certi canoni femminili  e in che modo le donne vengono indotte a considerarli giusti e di conseguenza ad ammalarsi di anoressia, fare interventi chirurgici e rischiare così la loro vita.
Nel capitolo della religione, il culto della bellezza viene paragonato a certe dottrine come Scentology, e paragona il mito della bellezza ad una "dottrina" la quale le donne vengono plagiate.




L'ossessione della bellezza  a tutti i costi viene definita come un'arma a doppio taglio contro le stesse donne: le case di bellezza, le case di moda e i giornali stessi 
vogliono fare soldi sulle insicurezze femminili anche perchè così, rendendole insicure, esse non possono avere quella completa sicurezza interiore che possa aiutarle
a sfondare  "a tuttotondo" in certi campi.
In effetti l'intenzione della  Wolf è quello di cercare  di togliere quel divario fra bellezza( lo stereotipo della bella,ma vuota) e intelligenza(quindi in questa cultura, brutta), che purtroppo è ancora presente tutt'ora.
Sostiene che questa distinzione è inutile e finchè 
la si farà e se le donne si cureranno solo per apparire e integrarsi in una società, invece di farlo per una loro questione di piacere personale, non riusciranno a vedere mai la loro bellezza
interiore e il loro valore complessivo di persona.
Tra l'altro mi ha colpito molto il suo modo di supportare ogni sua affermazione con statistiche, citazioni di sue colleghe e tecniche pubblicitarie e psicologiche utilizzate
per indurre in inganno le sventurate.


Nel suo libro vi sono nozioni di psicologia del marketing e non, rimandi religiosi, esperienze vissute, citazioni da libri e l'elenco delle tecniche pubblicitarie più utilizzate. Siccome io ho studiato materie simili mi sono trovata nel mio campo. A volte  per chi non conosce la terminologia è un po' complesso, comunque si può leggere anche senza avere molte nozioni di pubblicità.


Premettendo che prima di fare la recensione, ho cercato di documentarmi sul femminismo e su varie
opinioni differenti,onde evitare figure da "cioccolataio".
                                             Naomi Wolf


La Wolf  da molti critici letterari viene definita una "sovversiva eccessivamente femminista".  A mio modesto parere invece, è sì una femminista convinta, ma in realtà in una dose corretta e non eccessiva: ella  sostiene che anche gli uomini  sono vittime di questa "mercificazione della bellezza" e potrebbero diventare in futuro oggetti della stessa( cosa che effettivamente, è avvenuta e quindi confermo che ella avesse guardato abbastanza avanti con le epoche).
Nel suo libro vengono  anche raccontate delle sue dolorose e tristi esperienze personali( che ovviamente non vi dirò, a causa della mia famosa tradizione di non rivelare troppo), che a mio parere motivano questa sua scelta di affrontare questo argomento e della accorata veemenza con cui analizza ogni fatto descritto sul libro.


Sinceramente io  ho apprezzato profondamente il libro, con questa tematica così controcorrente.
L'ho trovato coerente argomentato e assolutamente credibile.
Spiega perfettamente in ogni punto i meccanismi delle "mercificazioni della donna", e se  vi piace l'argomento, potrebbe essere un bel modo di ampliare le proprie conoscenze su queste tematiche così tremendamente attuali ancora oggi.




Voto: 9/10






                                                             
                                                            









































mercoledì 15 febbraio 2012

John Grisham, La casa dipinta.


I braccianti delle montagne e i messicani arrivarono lo stesso giorno. Era un mercoledì dell'inizio di settembre del 1952. A tre settimane dalla fine, i Cardinals erano cinque partite sotto rispetto ai Dodgers e la stagione sembrava perduta. Il cotone, più alto di me, arrivava alla cintola di mio padre che prima di cena bisbigliava al nonno parole che sentivo di rado. Sarebbe stato forse un "buon raccolto".


(John Grisham, La casa dipinta.)




  
Ultimamente non ho scritto nulla e per questo, so di essere decisamente  imperdonabile.
L'influenza e il  mio  conseguente imbottirmi di svariate medicine di colori  differenti come l'arcobaleno,  hanno  generato in me una sorta di "ibernazione" della mia già flebile e lunatica ispirazione.
Sommando poi un mio imminente ( lo ammetto, è a metà marzo, in teoria non sarebbe quindi nemmeno troppo vicino, ma l'innegabile difficoltà di questo esame, fa sì di allarmarmi e cercare di correre ai ripari, onde evitare eclatanti e giullaresche figure durante l’interrogazione) preesame, il quale ha scatenato in me uno stato di "leggera" (ovviamente fra virgolette) ansia, vi lascio intuire  che la mia famosa ispirazione “ballerina”  non ne abbia giovato particolarmente.
E purtroppo, io sono una di quelle persone che appena vede all'orizzonte un minimo segnale di incertezza, si lascia prendere da un inaudito loop di paranoie, dicesi anche volgarmente "Seghe mentali".
Quindi, cercando di abbattere questi miei “impedimenti”, ho deciso di provare a scrivere la  mia tanto promessa recensione su John Grisham.

E anche qui, dopo il mio prologo un po’ stralunato (che in effetti è  molto simile a un "volo pindarico") dovrò soffermarmi su alcune cose prima di iniziare la recensione vera e propria: pochi mesi fa analizzai il primo libro che lessi di questo autore, il quale ricordo, non mi lasciò una buona impressione e ammetto, dimenticai abbastanza facilmente.
Con "L'ultima sentenza" , effettivamente  trovai il filone dei "legal thriller" un po' consumato e ritrito.
Ebbi l'impressione quasi che l'autore non riuscisse più ad aver molto da dire, nella foga di cercare sempre di trovare sfumature diverse allo stesso, identico tema.
Poi successivamente, leggendo "Il Broker"(Il libro antecedente a quello descritto sopra) alcuni giudizi che nutrivo su Grisham, si attenuarono, ma non si dissolsero del tutto.

Una mia amica e altre persone mi consigliarono di ampliare la lettura di questo autore, provando magari a leggere opere che fossero diverse dal "thriller legale".

E in effetti, devo dire che non mi sono affatto pentita di leggerlo.
"La casa dipinta" è forse meglio  perfino di quel che pensassi, visto il mio atteggiamento prevenuto riguardo allo scrittore.
E' completamente differente come temi e ritmo narrativo rispetto ai suoi precedenti lavori e questo fatto, mi ha dato un incentivo in più a leggere questo romanzo.
La storia è ambientata negli anni ' 50, negli Stati Uniti e più precisamente, nelle campagne dell'Arkansas.
E' descritta  la fatica di una famiglia di braccianti, i Chandler,  il cui lavoro consiste nel raccogliere  il cotone.
Nel libro vengono trattate le vicissitudini famigliari e non solo, le incertezze, il bigottismo e la stretta osservanza della religione battista, elementi in equilibrio e successivamente incrinati dall'arrivo di due gruppi : quello  dei braccianti  messicani e quello di un' umile famiglia  proveniente dalla "montagna", arrivati per aiutare in modo retribuito i Chandler.
Vengono descritti i caratteri dei componenti di questo nucleo famigliare, delle persone che girano intorno a loro, la stanchezza, la brutalità che la rinuncia e la fatica  contribuisce a generare, i piccoli riti ed usanze di uno scorcio di Stati Uniti dell'immediato dopoguerra.
Ma prima di tutto,  la cosa che mi  ha suscitato interesse e tenerezza, è stata la voce narrante di questo romanzo: la vicenda viene completamente affidata a Luke Chandler, uno sveglio  bambino di sette anni.
Lui, bimbo  giudizioso, ma allo stesso  pieno di aspettative e piccole idealizzazioni, conduce il filo narrativo in modo assolutamente credibile.
Come mia tradizione, non mi soffermo sulla trama e a cognizione di causa,su questo libro ho detto ancora meno delle altre volte perché credo che per poterne capire ogni sfumatura e immagine evocativa, abbia bisogno di essere gustato pagina per pagina, un piacere che di certo non sarò io a togliervi, svelando troppo sulla trama.



Devo ammettere che questa volta Grisham mi ha  piacevolmente sorpreso: riesce ad entrare in modo  estremamente credibile nel mondo, nella  mente e nel cuore di un bambino di sette anni, senza calcare la mano e renderlo "più grande" di quello che è realmente.

Il ritmo di questo libro è molto più lento rispetto ad altre sue opere, oserei dire opposto a quello di certi suoi romanzi recenti, talmente veloci in certi punti, da essere a volte incomprensibili.
A me questo ritmo  è piaciuto molto,  perché fa sì di assaporare ogni  dettaglio, senza  che il lettore cada assolutamente nella trappola della prolissità e della noia. Anzi , io ne sono rimasta piacevolmente catturata, e in modo talmente convinto, da  leggere il romanzo in meno di tre giorni.









Un tema che io ho trovato molto forte e degno di nota, in questo libro è la contrapposizione fra il forte attaccamento alla durezza della vita dei campi, alla fatica, alle tradizioni e alle radici degli anziani della casa  (I nonni di Luke)  contro il desiderio di cambiamento , di progresso e di novità che le generazioni più giovani nutrono, trovando una dimensione  di monotonia in quel piccolo mondo rude(Il papà e la mamma di Luke ).
Quasi che i genitori del piccolo Chandler vogliano anche cercare  a tutti i costi di renderlo un bambino della sua età,piuttosto che un piccolo schiavo di una vita fatta di sacrifici e privazioni.

Del resto è un libro assolutamente vasto, carico di elementi talmente fitti e personali che ognuno di noi può trovare nella  vita di tutti i giorni: la diffidenza per il diverso, la mentalità ristretta e bigotta di paese, l'asprezza e la crudezza di una vita di rinunce, che a volte  può essere un pretesto per far sfociare una violenza inaudita ( nel libro, due personaggi abbastanza "agitati" per usare un eufemismo, rappresentano questa mia affermazione).


Tirando le somme, questo libro è stato scritto in uno stile molto inusuale per Grisham, che qui , trovo significativo,elegante, coerente.
Posso affermare senza alcuna remora che è il suo più bel romanzo.
Mi spiace che  il suo genere si sia ultimamente limitato al legal- thriller, perché credo che se ampliasse la varietà dei generi di scrittura, i lettori potrebbero scoprire piacevoli e splendide sorprese come questo romanzo.


Voto: 9/10


















































































martedì 24 gennaio 2012

Acqua e Sapone


Italia, 1983

Regia di Carlo Verdone.
Con Carlo Verdone, Natasha Howey, Florinda Bolkan, Elena Fabrizi, Fabrizio Bracconieri,
Michele Mirabella. 
Musiche di Fabio Liberatori,  Gaetano Curreri e Vasco Rossi.

La voglia di vedere questo film è partita dalla mia passione per il gruppo musicale degli Stadio e in particolare dall'ascolto della splendida hit degli anni '80  "Acqua e sapone".
Sapevo che era la colonna sonora di un noto film di Verdone e un po' per noia, un po' per la poca voglia di uscire, mi è partito il desiderio di vedere questo lungometraggio ;
 Di Carlo Verdone ne sento parlare sempre molto, ma dei suoi film, in realtà, ne ho visti molto pochi.
Piano piano, mi sono messa a guardare 'a pilloline' il film su You Tube e scopro che è assai godibile e piacevole.
Sandy, giovanissima modella americana, viene in Italia per sfilare e per imparare l'italiano.
Ella, in teoria, sarebbe una persona con tutte le carte in regola per essere felice: bella, ricca e contesa dalle copertine di tutto il mondo. Vi è però un grosso ma:  la madre ne
controlla ogni movimento e siccome le fa anche da manager, le impedisce in ogni modo di viversi la sua gioventù. (Le fa fare ginnastica durissima tutti i giorni, la tiene a stretto regime dietetico e le scandisce ogni momento libero con impegni scolastici e lavorativi)
Rolando è un giovane arguto e molto sensibile: laureato con 100 e lode e appoggiato dalla buffissima nonna  (che vorrebbe per lui come tutti i parenti un futuro migliore,dispensando buffissimi consigli in romanesco stretto) ed dall'amico coatto, (un sedicente sciupafemmine un po' inopportuno e pasticcione) , dà ripetizioni ad immigrati e  lavora facendo il bidello in una scuola cattolica.
Cerca sempre invano l'occasione per poter avere un sospirato lavoro adatto al suo titolo di studio e la trova fingendosi Padre Spinetti(un prestigioso ingegnante italo-americano) e dovrà dare ripetizioni nient'altro che alla nostra Sandy.
Fra equivoci tragicomici e buffissimi sketch, fra i due nascerà una tenera amicizia che col tempo evolverà in una dolce e mai volgare storia d'amore, la quale s' interromperà a contatto delle realtà completamente diverse da cui provengono entrambi.
E non dico ovviamente nulla di più, come al mio solito.

Questo film, nonostante sia impreziosito dalla comicità e dalla saggezza della fantastica Elena Fabrizi, molto più nota come Sora Lella e dalla bonaria coatteria di Fabrizio Bracconieri(Quello dei "Ragazzi della terza c" e di "Forum", per intenderci)e da situazioni simpaticamente comiche e demenziali, ha in sè temi profondi e malinconici.
La compensazione e l'incontro fra una bambina-donna e  un uomo-bambino contribuisce ad eliminare dentro di noi la convinzione che tutti noi siamo per forza nettamente adulti o bambini, mentre dentro di noi vi sono radicati degli elementi che appartengono a questi due periodi della nostra vita.
 Tra le altre cose, la moda dell'epoca di usare ragazzine per far fare a loro una carriera rigida, con ritmi da star consumate, viene affrontata come una sorta di denuncia aperta.
All'epoca era una cosa scandalosa, ma purtroppo ora fin troppe ragazzine vogliono fare le adulte e questa cosa non suscita più scalpore.I tempi sono cambiati è vero,  però io lo trovo a mio parere,  sempre un comportamento anomalo.
Tolte queste mie considerazioni e il mio cercare di sviscerare i temi, trovo che un'altro punto di vantaggio sia la bellissima colonna sonora degli Stadio, elemento che ha contribuito non poco a diffondere il film.
 Fabio Liberatori,  Gaetano Curreri e Vasco Rossi(non ancora la rockstar pacchiana che ora conosciamo) avevano scritto il testo commissionato (intitolato appunto, "Acqua e Sapone") per il film e con il suo sound fresco e riconoscibile ha fatto si che tutti ancora oggi, cantassero il motivetto.

Prendendo invece in considerazione Verdone e il film nel suo complesso, devo dire che è stato girato in modo molto delicato,  fresco e mai volgare. Ha dosato bene la comicità, il romanticismo, aggiungendo una punta di malinconica nostalgia che ha reso il film  divertente, ma che nonostante ciò, in alcuni punti fa venire un nodo in gola.

Nei pochi film che ho visto su di lui, prevaleva il lato macchiettistico e un po' tamarro.
Qui, Verdone accentua meno questo suo profilo, rendendosi leggermente più romantico e un po' più caratterista. Cambia tono di voce e registro di continuo, rimanendo pur sempre la stessa persona.
Questa estrema cura in tutti gli aspetti, fa intuire che Verdone nonostante la sua comicità, non lasci mai nulla al caso: ogni riferimento, ogni battuta è curata nel minimo dettaglio. Questa sua "maniacalità"  nei particolari è talmente ben studiata che a volte non dà nemmeno l'impressione di essere in un film, ma  addirittura in uno scorcio di una via romana.
 Il film risulta particolarmente riuscito,uno di quelli che ci fanno ricordare la giovinezza con un sorriso, prima che la vita con la sua realtà ci rendesse più prosaici e realisti.

Voto: 10